I Racconti di Felineo: L’Esercito dei Bruttini alla ricerca del piccolo Re

Un racconto inedito di Anna Celenta

Covid giaceva annoiato su un vetrino sotto lo sguardo indagatore della lente di un microscopio: «Basta», urlò, per quanto la sua impercettibile vocina potesse essere udita da orecchio umano. «Sono stanco di essere invisibile! Adesso vi faccio vedere io di cosa sono capace…».

Illustrazione di Alexia Bianchi

Covid era piccolo, piccolo, ma così piccolo che non lo si poteva vedere a occhio nudo, divenne potente, non grande, questo no, lui rimase minuscolo e fu proprio questo che gli permise di diventare l’essere più infimo e malvagio al mondo.
«Indosserò una corona e diventerò Re», si disse. «Il Re più grande del mondo!».
Fu così che diede una svolta decisiva alla sua insignificante vita. Si alzò dal vetrino e andò alla ricerca della sua corona da Re. La ricerca non tardò a dare i suoi frutti. Su un vetrino accanto al suo trovò una particella rotonda, gialla e lucente.
«Ecco,» disse, posando la particella sul suo capo, «ecco la mia corona, non è stato poi così difficile…».
Il minuscolo essere si autoproclamò Re. Con la sua luccicante corona dorata, Covid iniziò a vagare per il mondo. Si librava nell’aria altezzoso, come solo un Re sapeva fare, ma ancora nessuno lo notava.

La gente continuava la propria vita come se nulla fosse. I bambini andavano a scuola, i genitori a lavorare, le donne anziane facevano la spesa al mercato, i pensionati leggevano il giornale al bar e cianciavano di politica, i ragazzi giocavano al pallone e si divertivano come sempre avevano fatto.
«Ehilà, sono qui, sono il vostro Re», Covid cercava in tutti i modi di farsi notare, ma niente, nonostante la sua bella corona, era pur sempre troppo piccolo e restava invisibile a occhio umano.
«Eccì!».
«Cos’hai piccolo? Non ti senti bene?».
«No, no mamma stai tranquilla, è solo uno starnuto, sei la solita apprensiva»
, rispose il figlio.
«Ok, ma copriti bene prima di uscire!».
«Eccì!». Il ragazzo uscì di casa, in ritardo, come tutte le mattine e corse a prendere lo scuolabus. Arrivò in classe e si sedette al primo banco, dove lo aveva messo la professoressa d’italiano perché non si distraesse.
«Eccì!» il ragazzo starnutì sul compito in classe.
«Eccì!» fece la professoressa, prendendo in mano il compito.
«Eccì!» intanto la mamma si preparava a salire in macchina per andare a fare la spesa.
«Eccì!» la mamma posò i suoi acquisti sul nastro e pagò.
«Eccì!» fece la cassiera del supermercato prendendo la carta di credito dalle mani della mamma.

Quella sera Lallara Narco aveva fatto tardi e invece di tornare a casa si fermò al quartier generale dell’Esercito dei Bruttini, che si trovava in un container dismesso proprio dietro al supermercato dove lavorava.
«Eccì!» fece Lallara Narco entrando nel quartier generale.
«Ciao Kristal, che ci fai qui?» domandò sorpresa Lallara all’amica.
«Ciao Lallara, non stai bene?» chiese Kristal e aggiunse: «Sono venuta a cercare un documento sul computer del professore Generoso Tappabuchi».
«Eccì!» fece ancora Lallara Narco, aggiungendo, a seguire, anche uno sbadiglio. «Oggi ho lavorato molto, facendo avanti e indietro dalla cella frigorifera, avrò preso un po’ di freddo. Mi basta una bella dormita e domani sarò come nuova».
«Ok, io finisco di cercare il documento e poi vado, ci vediamo domani… Eccì», concluse Kristal.
«Eccì!» rispose sbadigliando Lallara, prima di sdraiarsi sul comodo e ampio divano nel centralino del quartier generale, dove lei, quando non dormiva, svolgeva le sue mansioni di segretaria dell’Esercito dei Bruttini.

Nel frattempo Kristal trovò il documento al quale il professore Generoso Tappabuchi si riferiva. La prima riga riportava una frase in rosso: Attenzione! Pericolo di contagio!
Kristal, sebbene preoccupata e anche un po’ incuriosita, decise di non leggerlo come le era stato espressamente chiesto dal professore. «Mia cara Kristal», le aveva detto al telefono lo scienziato tuttofare e aggiustatutto dell’Esercito dei Bruttini, «quando avrai trovato il file nominato “Covid-19”, ti prego di stamparlo, ma per favore non leggerlo. Portamelo appena puoi».
E così fece. Kristal spense la luce, lasciando Lallara Narco nel mondo dei sogni, uscì dal quartier generale e si recò a casa del professore Generoso Tappabuchi.

Drin, drin, drin…
Il telefono del quartier generale dell’Esercito dei Bruttini suonava con insistenza ormai da qualche minuto, ma Lallara Narco dormiva.
Drin, drin, drin…
Era Kristal. Sapeva che l’amica non avrebbe risposto prima di una decina di minuti. Quando Lallara Narco dormiva, infatti, nemmeno un’esplosione era in grado di svegliarla. Ma Kristal questo lo sapeva benissimo e così, armata di santa pazienza, attendeva fiduciosa all’altro capo del telefono.
Drin, drin, drin…
Il telefono squillava ormai da quasi un quarto d’ora, ma Lallara Narco non si svegliava.
«Sono preoccupata», disse Kristal al professore Generoso Tappabuchi, «non risponde, ieri sera non stava bene e dopo quello che mi hai riferito…».
«Tranquilla, hai detto che era molto stanca e al lavoro aveva preso freddo, starà solo dormendo più profondamente del solito».

Drin, drin, drin…
E, infatti, 15 minuti e 59 secondi dopo… «Yawn, eccì, pronto, risponde il call center dell’Esercito dei Bruttini, sono Lallara Narco come posso aiutarla, yawn, eccì…».
«Ciao Lallara sono io, Kristal. Devi chiamare subito i Bruttini e radunarli al quartier generale. Il professore e io saremo lì tra una ventina di minuti. È molto importante, fai presto!».
«Eccì, di cosa si tratta?» chiese la segretaria.
«Eccì», rispose Kristal, «proprio di questo…».
«Di cosa? Che abbiamo preso il raffreddore?» disse Lallara sarcastica.
«Speriamo sia solo un banale raffreddore…». Kristal chiuse la conversazione per non perdere altro tempo.

Lallara Narco, svogliatamente, si mise a digitare l’uno dopo l’altro i numeri di tutti i Bruttini: chiamò Pancio che stava facendo un’abbondante colazione nella tana sull’albero di Lavi Satin. Chiamò Roundweiler, ancora assopito sotto la sua coperta nel pozzo, dove viveva insieme al suo amico Mozzo. Telefonò a Kratos, che era rimasto a casa da solo visto che lei, la sua umana, aveva dormito al quartier generale, e infine la Kuro, anche lei orfana della sua umana, Kristal, impegnata tutta la notte per la faccenda del documento con il professore Generoso Tappabuchi.
«Cavoli, Brachyura… quel granchietto è così piccolo che non è poi così difficile dimenticarsi di lui». E così Lallara Narco radunò l’intero Esercito dei Bruttini.

«Buongiorno Lallara, che brutta faccia che hai!» esclamò Pancio entrando nel quartier generale.
«Ma guarda un po’ la tua!» rispose lei stizzita.
«Scusa, non intendevo offenderti, mi hai frainteso, volevo dire che oggi hai una brutta cera e non sei splendida splendente come al solito», rispose, beffardo il grosso essere peloso.
«Eccì», fu l’unica risposta di Lallara, prima di riavvolgersi nella sua calda coperta.
Quando Kristal e il professore Generoso Tappabuchi arrivarono al quartier generale, l’Esercito dei Bruttini al gran completo era già seduto in cerchio al centro del container.
«Eccì», fece Kristal, prima di salutare i suoi amici e compagni d’arme.
«Eccì», le fece eco il professore.
«Ehi, Ehi, Ehi, che succede?» chiese preoccupata la Kuro. «Cosa avete combinato voi tre, non sarete mica contagiosi?».
«Eccì, è proprio di questo che dobbiamo parlarvi», esordì lo scienziato. «Dovete sapere che sta circolando un piccolo essere malvagio che sta seminando paura, distruzione e purtroppo anche morte in tutto il mondo», chiarì Generoso Tappabuchi.
«Ma se è piccolo sarà facile fermarlo, non è vero?» chiese Brachyura, il minuscolo granchio con una sola gigantesca tenaglia in acciaio, che di esseri piccoli se ne intendeva.
«In verità la sua forza sta proprio in questo…», rispose il professore. «Ascoltatemi attentamente e vi chiarirò come un essere così piccolo possa diffondere tanto male».

Il professore Generoso Tappabuchi spiegò che l’esserino malvagio non era solo piccolo, ma praticamente invisibile. Questa sua caratteristica gli permetteva di insinuarsi nel corpo delle persone senza che queste se ne accorgessero. Amava rimbalzare da una persona all’altra senza alcuna distinzione: bambini, ragazzi, giovani, meno giovani, uomini, donne, neri, bianchi, gialli…
«Nessuno di noi è immune… o quasi», aggiunse Kristal, dopo l’ennesimo starnuto.
«E come si chiama questo temibile microscopico essere?» chiese Pancio, rilasciando una goccia di sudore in segno di paura che, naturalmente, cadde in testa alla Kuro che gli sedeva accanto.
«Che schifo!», la Kuro si deterse il muso con un fazzolettino di carta.
Lo sguardo di Kristal fece capire alla gattina nera che avrebbe dovuto rimandare il solito battibecco con Pancio a data da destinarsi.
«Si chiama Covid…».
Una sonora risata rimbalzò sulle vuote pareti del container.
«Ma non si poteva scegliere un nome più altisonante tipo il mio… Kuro, la Belva Oscura», ridacchiò la gattina nera.
«Adesso basta!» nessun Bruttino mai aveva visto Kristal così alterata. Il tono della sua voce li spaventò e zittì. Kristal non era il capo dell’Esercito dei Bruttini. Non esistevano né capi né subordinati tra di loro, ma lei aveva la stoffa da leader ed era l’unica che sapeva riportare ordine e calma tra quei buffi personaggi. Era la prima volta, però, che Kristal appariva così severa e soprattutto preoccupata ai loro occhi.
«Si chiama Covid», il professore riprese il suo discorso, «ed è molto molto pericoloso perché, forte della sue dimensioni, nessuno è ancora riuscito a catturarlo. È un essere infimo perché si nutre della socialità delle persone: dei baci degli innamorati, delle carezze delle mamme, degli abbracci dei nonni, delle strette di mano degli uomini. In un bacio, una carezza, un abbraccio o una stretta di mano, purtroppo, chi è più debole può anche trovare la morte».

«Ma è terribile!» disse Lallara, risvegliatasi di soprassalto da un sonnellino e, ora, anche seriamente preoccupata del suo raffreddore. «Questo significa che ieri, al lavoro, io potrei aver socializzato con qualche cliente e aver nutrito quel coso?».
«Eccì», fece Kristal, «e poi ci siamo incontrate, ci siamo abbracciate e si è nutrito della nostra amicizia».
«Eccì», le fece eco il professore Generoso Tappabuchi e aggiunse: «e purtroppo Kristal è venuta a casa mia portandomi i documenti che le avevo chiesto e il Covid si è nutrito anche della nostra collaborazione».
«Ma, ma, ma», balbettò Pancio, «se, se, se», il Diffusore ingoiò un po’ di saliva e terminò la frase, «se voi tre siete stati contagiati da questo Covid perché ci avete convocato qui? Cosa dovremmo fare noi? Ma soprattutto, non rischiamo che si nutra anche della nostra amicizia?».
«Tranquillo Pancio, ora risponderò a tutte le tue domande e vi darò anche qualche istruzione in più che vi aiuterà a stanarlo», il professore cercò di tranquillizzare Pancio, senza molto successo, però.
«Cooooosssaaaa, noi? Da soli? Senza Lallara a guidare l’Ugly-mobile e Kristal a guidare noi?».

Pancio iniziò a tremare, sudare e rilasciò dei rumori intestinali, accompagnati da un odoraccio tale che se il malvagio esserino fosse stato davvero lì con loro lo avrebbe neutralizzato seduta stante.
Quando l’intero gruppo rinvenne dopo il diversivo di Pancio, il professore proseguì:
«Da quanto mi è stato detto dai miei colleghi medici e scienziati il Covid non attacca gli animali, forse non li ritiene esseri sociali, ecco perché siete gli unici a poter fare qualcosa. Per lo stesso motivo Kristal e Lallara non potranno partire con voi, ma resteranno qui con me al quartier generale e insieme, anche se non saremo fisicamente vicini, lo scoveremo e lo sconfiggeremo».
Prima di terminare la seduta straordinaria, il professore Generoso Tappabuchi diede ai Bruttini un foglietto con alcune utili informazioni che avrebbero dovuto seguire scrupolosamente.
«Pancio, fila a farti la doccia», disse la Kuro, dopo aver letto il primo punto: Lavati spesso le mani!
«Uff», sbuffò lui.

La notte di quello stesso giorno, un gatto nero come la pece con la coda storta e un bigliettino che avvisava “Non Toccare”, un essere peloso, molto peloso, puzzolente, molto puzzolente e sempre affamato, molto molto affamato, un coniglio con una benda da pirata sull’occhio destro, le orecchie lunghe e le zampe ancora più lunghe, un minuscolo granchio con una sola tenaglia in acciaio, tanto piccolo che lo si poteva vedere solo con la lente di ingrandimento, un cane rozzo, tozzo, zozzo con un grosso gozzo che viveva all’ombra della sua inseparabile coperta e un gatto con la testa piccola, il cervello di un cucciolo e il corpo enorme che amava l’odore di calzini usati partirono per una missione molto importante: salvare l’umanità da un piccolo essere disumano che si nutriva di baci e carezze.

«Ma come faremo a trovarlo se è praticamente invisibile?» chiese Kratos.
«Il professore ha detto che si annida là dove le persone sono più unite», chiarì la Kuro.
«Secondo me dobbiamo andare in luoghi affollati, tipo una scuola, un centro commerciale, un campo di calcio durante una partita importante, un centro di aggregazione giovanile o per anziani, un bar o anche un ristorante», suggerì Lavi Satin.
«Fermi, guardate là c’è un parco giochi. Ci sono tanti bambini, le loro mamme e pure delle persone anziane che parlano sedute su una panchina», Pancio attirò l’attenzione dei suoi compagni.

L’Esercito dei Bruttini diresse l’Ugly-mobile, il risciò a sei ruote costruito dal professore Generoso Tappabuchi per le loro missioni, verso il parco giochi.
«Stop, parcheggiamo qui», disse la Kuro, la spavalda Belva Oscura voleva fare le veci di Kristal.
«Adesso cosa facciamo?» chiese tremante Roundweiler, senza togliere il muso da sotto la sua coperta.
«Aspettiamo e osserviamo», suggerì ancora la Kuro, «secondo le istruzioni del professore dovremmo fare attenzione a chi starnutisce o tossisce in presenza di altre persone».

L’Esercito dei Bruttini si divise a coppie come di consueto. La Kuro e Pancio si nascosero dietro a una panchina e origliarono una conversazione tra due ragazzi.
«Com’è andato il compito in classe di italiano?».
«Ma, non saprei, sai che non sono molto simpatico alla professoressa. E poi stamattina non stavo tanto bene… Eccì», il secondo ragazzo starnutì e aggiunse, «questa volta non sono scuse, da ieri continuo a starnutire e ho anche un po’ di mal di gola… coff, coff», il ragazzo tossì.
«Forse è meglio che te ne torni a casa, non hai una bella cera», suggerì l’altro e, battendo il cinque sulla mano dell’amico, il ragazzo si alzò dalla panchina e se ne andò.
L’altro si avvicinò a un gruppetto di amici e, con la stessa mano, batté il cinque a ognuno di loro.

Tra la sabbia, dove i bambini più piccoli erano soliti giocare, Brachyura Monocrostaca teneva d’occhio la situazione, mentre il suo compagno Lavi Satin era poco distante da lui, dietro agli scivoli. Lì c’erano bambini che salivano e scendevano, altri facevano a turno sull’altalena e le mamme chiacchieravano del più e del meno senza mai perderli d’occhio.
«Il mio piccolino l’altro giorno aveva qualche linea di febbre, non sapevo a chi lasciarlo, così ho dovuto portarlo all’asilo lo stesso», diceva una mamma che poi aggiunse, «per fortuna al pomeriggio sono andati i nonni a prenderlo. Sono un po’ anziani, ma se non ci fossero loro non saprei proprio come fare…».

Roundweiler e Kratos, facendo finta di rincorrersi come cane e gatto qual erano, si avvicinarono al campo da calcio, dove un gruppetto di giovani discuteva animatamente.
«Era fallo», diceva uno.
«No, non è vero, ti sbagli, ho visto bene quando mi sono fermato un attimo ansimando».
«E perché ansimavi? Non hai più il fisico?» scherzò un altro del gruppo.
«Ma no, faccio fatica a respirare, da qualche giorno ho una brutta tosse che non mi lascia dormire la notte».
«Sono tutte scuse, era fallo…».
«Coff, coff, coff».
«Ecco, vedi, adesso fa anche finta di star male…».

La Kuro, Pancio, Lavi, Brachyura, Kratos e Roundweiler tornarono all’Ugly-mobile. Ognuno riportò le conversazioni udite, ma nessuno aveva visto nulla di strano se non qualche colpo di tosse o uno starnuto.
«Direi di chiamare il quartier generale e riferire tutto al professore Generoso Tappabuchi, magari nota qualcosa che a noi sfugge».
E così fecero. Quando stavano per ripartire, sentirono un bimbo piangere. Il parco giochi era ormai deserto, si era fatto tardi e non rimaneva che qualche minuto prima che si facesse buio.
«Un bambino solo a quest’ora al parco?» disse ad alta voce la Kuro.
«Presto, andiamo a vedere, potrebbe essersi perso», suggerì Lavi.
Il bimbo, di circa tre anni, era seduto nel suo passeggino, parcheggiato vicino a una panchina sulla quale sedeva una donna anziana, forse la nonna.
«Non è solo, c’è la sua nonna», disse Roundweiler.
«Sì, ma sta dormendo, forse è il caso di svegliarla», notò Kratos.
«Avviciniamoci piano, non vorrei che si spaventasse vedendo Pancio», disse la Kuro.
«Sei sempre la solita…», si risentì il Diffusore.
La Kuro si avvicinò al viso dell’anziana e si accorse che non stava dormendo, sudava, ansimava, sembrava stare molto male.

«Cosa possiamo fare?» chiese Brachyura con la sua flebile voce. Nessuno dei Bruttini sentì la sua domanda perché, oltre a essere molto piccolo, il granchio per farsi sentire doveva usare un megafono che in quel momento non aveva.
Qualcun altro però gli rispose. «Niente, non potete fare niente».
«Chi è? Chi ha parlato?» chiese Brachyura.
«Il Re, ma tu come fai a sentirmi?».
«E che ne so, ti sento e basta, ma non ti vedo, chi sei?» domandò una seconda volta Brachyura.
«Ti ho detto che sono il Re».
«Vabbè, senti ho cose più importanti a cui pensare, sono a caccia di un essere malvagio», si lasciò sfuggire il piccolo granchio.
«Ah sì e com’è questo essere malvagio?» volle sapere il Re.
«Non lo so, nessuno lo ha mai visto».
«E allora come fai a cacciarlo se nessuno lo hai mai visto e non sai che faccia abbia?» il Re insistette.
«Non mi serve sapere che faccia abbia, conosco il nome e la sua malvagità. È talmente infimo che si nutre della socialità e dell’amore delle persone. Si crede un grande, ma in realtà è piccolissimo e non perché non lo si possa vedere, non so se capisci cosa intendo?».
«O certo lo capisco molto bene, ma ti sbagli, lui è un grande. È riuscito a diventare qualcuno, è importante perché tutti lo temono. Nessuno lo nota, ma ha trovato il modo di farsi vedere: quando passa, lui lascia il segno, portando distruzione e morte. Uno così è proprio un grande!» il Re non aveva dubbi.
«Ti sbagli, io sono minuscolo, a volte i miei amici e compagni non mi vedono né mi sentono, ma per questo non mi sono mai sognato di seminare il panico o addirittura uccidere delle persone».
«Beh! Non sai cosa ti perdi. Essere un Re, vagare solo per il mondo, avere la forza di mettere in ginocchio intere comunità è una grandissima conquista».
«Sai, hai detto bene, solo. Un Re solo, che pensa di essere potente, di avere tutto, di avere il mondo nelle sue piccole mani, ma pur sempre solo. Io sono piccolo, a volte non mi vedono e non mi sentono, ma ho degli amici, delle persone che mi amano e che farebbero di tutto per me, io non sarò mai solo e questo mi rende grande!».
Fu in quel momento che Brachyura intuì il punto debole di Covid, il Re.
«Senti Re», tagliò corto Brachyura, «ora devo andare, ho un essere malvagio da sconfiggere…».
E lo lasciò solo.
«Vai, vai, tanto non mi sconfiggerete mai…».

Brachyura si affrettò a richiamare l’attenzione dei suoi compagni che attendevano i soccorsi per la donna anziana che era stata colpita dal piccolo Re solitario, dopo che quel giorno aveva ripetutamente baciato e accarezzato il suo nipotino, portatore sano del malvagio Covid.
I sanitari non tardarono ad arrivare, così l’Esercito dei Bruttini poté rientrare al quartier generale, dove c’erano il professore Generoso Tappabuchi, Lallara Narco e Kristal che, per fortuna, stavano già meglio.
I Bruttini raccontarono dell’incontro tra Brachyura e Covid, che si era autoproclamato Re solo perché si era infilato in testa una corona.

Gli attenti occhi dei Bruttini fissavano Brachyura da dietro una lente di ingrandimento. Il granchio aveva in mano un piccolo megafono e indossava un capello e un grembiule da chef, ma questa è un’altra storia.
«Dobbiamo lasciarlo solo», esordì Monocrostaca, «la solitudine è il suo punto debole. Lui si nutre della socialità e dell’amore delle persone, ma se le persone smettono di socializzare e amarsi lui non può continuare a vivere».
«Ma cosa dici? È assurdo! Vorresti togliere l’amicizia e l’amore dal mondo?» Kristal era spaventata, non credeva alle parole di Brachyura.
«No Kristal, non hai capito», intervenne il professore Generoso Tappabuchi, «Brachyura ha ragione. Mi è venuta un’idea, vedrete che andrà tutto bene.

Nei giorni successivi un comunicato stampa fu diramato in tutto il mondo.

#iorestoacasa così #andràtuttobene

La nostra società è in pericolo e con essa lo sono i rapporti sociali. Lo sono la famiglia, l’amore, l’amicizia. C’è solo un modo per tornare a riprenderci ciò che ci spetta di diritto.
Restiamo tutti chiusi in casa, non usciamo, neanche per una semplice camminata, usciamo di casa solo se strettamente necessario, non andiamo a giocare al campetto o al parco con i nostri amici, non stringiamo la mano al vicino, non abbracciamo i nostri anziani genitori, non baciamo il nostro innamorato.
Priviamoci un po’ tutti del nostro essere sociali per tornare a vivere nella società, per tornare a stringere la mano al vicino, abbracciare l’amico, la mamma, il papà e a baciare chi amiamo.

Fu così che le città di tutto il mondo si fecero deserte. La gente non usciva più di casa, se non strettamente necessario, e quando le persone s’incontravano facevano finta di non conoscersi, restando alla larga le une dalle altre. I ragazzi non andavano più a scuola. Le mamme quasi non facevano la spesa. I papà lavoravano da casa.

Covid il Re, con la sua bella corona in testa, si librava con il suo solito fare altezzoso alla ricerca di nutrimento, ma non incontrò più nessuno. Non un bambino, non un ragazzo, non una mamma né un nonno. Vagò per giorni senza trovare amore o amicizia di cui cibarsi e pian piano si indebolì. La corona che aveva in testa cadde, il piccolo essere malvagio non era più Re, aveva perso il suo potere.

Era rimasto completamente solo e, solo, si dissolse nel nulla.

di Anna Celenta ©riproduzione riservata. È assolutamente vietato ricopiare o ripubblicare in qualsiasi forma senza l’autorizzazione scritta dell’autore.

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